Giuseppe De Gregorio (Spoleto 1920 – Spoleto 2007) fu rappresentante di spicco del cosiddetto “Gruppo di Spoleto”, fondato nel 1954 insieme a Filippo Marignoli, Piero Raspi, Giannetto Orsini, Ugo Rambaldi e Bruno Toscano.
La sua ricerca pittorica, partita da influenze post cubiste, evolve presto nell’informale e, all’inizio degli anni Sessanta, in quello che è stato definito “ultimo naturalismo” per l’evidente recupero di soggetti di natura all’interno della struttura informale.
Egli afferma di voler raccontare il rapporto esistenziale che lo unisce agli oggetti, e cogliere la vita che c’è in essi.
La sua natura morta perciò non è inerte, bensì mossa da energie interne, non necessariamente dinamiche, trattandosi spesso di elementi inanimati, ma comunque rappresentative di questa forza vitale che risiede anche nelle cose, siano esse appartenenti al mondo animale, vegetale, o degli oggetti veri e propri.
Alcune caratteristiche fondamentali contribuiscono a questo risultato.
Prima di tutto il taglio che De Gregorio effettua sulle immagini. Egli offre infatti alla nostra vista solo una porzione di ciò che sta rappresentando, isola ciò che è importante. Tutto quello che resta fuori dalla cornice perde valore, e resta di conseguenza anche fuori dalla realtà, che nell’arte non è altro che invenzione.
Poi, la particolare messa a fuoco su cui l’artista basa la sua rappresentazione.
Anche qui è l’occhio del pittore che conferisce valore a un dettaglio infinitesimale, che può diventare protagonista, o ne toglie a qualcosa di grande, che viene ridotto a trascurabile particolare.
L’effetto filtro-colore uniforma l’immagine.
Il colore utilizzato ha prevalenza della stessa base, aggiunta e mescolata con più o meno bianco o nero.
Gli elementi risultano come immersi in un liquido che ne attenua le differenze e rende omogenea la composizione. Il risultato è una raffigurazione più onirica che reale, con una vena espressionista in grado di esprimere malinconia quando vengono utilizzate tinte tenui, o positività quando sono invece presenti toni caldi e brillanti.
Le forme simili e l’utilizzo uniformante del colore suggeriscono, come De Gregorio stesso afferma in una sorta di poesia-manifesto, che non cambia molto se si rappresenta un granchio, un albero, un insetto o un fossile, in quanto a ben vedere in tutti si ritrovano somiglianze, e in sostanza la natura è sempre identica a se stessa.
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